fegato…..silenzio sintomatologico

il fegato è un organo parenchimatoso addominale che espleta funzioni vitali, non sostituibili, numerose e complesse, e che normalmente non dà segni della sua presenza, a meno che sia particolarmente ingrossato o abbia perso una o più delle sue funzioni, per una qualunque patologia. 

Salvo i casi di un importante danno acuto, fortunatamente, sebbene ammalato, compensa molto bene, anche per lunghi periodi.

E questo è certo un pregio, ma allo stesso tempo tuttavia rappresenta un’insidia, perché il silenzio sintomatologico trae spesso in inganno la persona, che spesso continua ad esempio in condotte alimentari o stili di vita non adeguati senza rivolgersi agli accertamenti o terapie del caso.

I sintomi di un danno al fegato iniziale, quando presenti, sono prevalentemente di carattere dispeptico, talvolta accompagnati da stanchezza, sonnolenza post prandiale, malessere generale e aggravamento di altre eventuali patologie associate, come malattie reumatiche, dislipidemie, diabete, ecc.

La complessità delle funzioni del fegato dovrebbe tuttavia educarci a portare maggiore rispetto a quest’organo, spesso trascurato. 

Questo atteggiamento, in presenza di una condizione patologica, può comprometterne anche gravemente l’evoluzione e la prognosi.

La curcuma ha ormai all’attivo oltre18.000 pubblicazioni, delle quali 1.378 sono revisioni e circa 700 gli studi clinici.

Il documento Consensus Paper dedicato a curcuma e derivati, redatto sotto l’egida della Società italiana di nutraceutica (Sinut), ha messo a fuoco più aspetti, dal funzionamento a livello cellulare e meccanismo d’azione dei componenti della pianta, e della curcumina in particolare, alle proprietà che le sono attribuite: antinfiammatoria, antiossidante, neuroprotettiva, antipertensiva senza trascurare quella epatoprotettiva.

Quest’ultima, vale la pena ricordarlo, è stata avvalorata da diversi studi scientifici, dei quali l’ultimo in ordine di tempo è un trial randomizzato in doppio cieco controllato con placebo uscito nel febbraio 2020 su Phytotherapy Research che ne ha riportato i benefici in casi di cirrosi epatica. 

A differenza degli altri il fegato è proprio l’ombelico del nostro mondo: un organo fortunato e prezioso ma, al tempo stesso, “disgraziato”, se così si può dire, perché si trova al centro del metabolismo del nostro organismo, dove arrivano tutte le sostanze che vengono assunte, per qualunque via.

Al contempo è anche un centro metabolico vitale che sintetizza e produce sostanze attive in direzione di tutto l’organismo.

E per questo la sua omeostasi deve essere mantenuta in salute, per mantenere in salute tutto l’organismo. Molteplici e complesse sono infatti le sue funzioni e in costante equilibrio dinamico con tutto l’organismo.

Una turba ormonale, un problema circolatorio, uno squilibrio alimentare, una deficienza di substrati, un’infezione ecc. possono determinare complesse alterazioni funzionali, e con il tempo anche organiche, a carico del fegato con inevitabili ripercussioni di ordine generale.

Oltretutto è un organo particolarmente suscettibile a tutti i farmaci che assumiamo, perché svolge un ruolo primario nelle funzioni di biotrasformazione, non necessariamente con criteri finalistici (talvolta il metabolita è più tossico del farmaco originario, ad esempio).

Farmaci che poi spesso si concentrano nel fegato stesso che per vari motivi, anche di carattere alimentare, può modificarne il metabolismo stesso.

Basti inoltre considerare che la maggior parte delle reazioni tossiche da farmaci sul fegato non sono legate alla dose del farmaco, ma spesso a una ipersensibilità che si è sviluppata nel tempo, anche alla dose terapeutica, per comprendere quanto sia delicato l’equilibrio di quest’organo.

E come invece possa essere utile un intervento di carattere fisiologico nel mantenerne la funzione quando ancora non ammalato.

Le piante, poi, offrono spesso la possibilità di evitare o ridurre anche l’uso di farmaci potenzialmente epatotossici (FANS, antipiretici, antibiotici ecc.).

Al contrario, abbastanza importante è il rischio di far precipitare la funzione di un fegato ammalato ma ancora in fase di compenso, per una malattia intercorrente o un comportamento alimentare sconsiderato, o addirittura per il rifiuto ideologico di terapie innovative.

Fegato grasso

Comune è il termine steatosi per definire il cosiddetto “fegato grasso”, rappresentato sostanzialmente da un accumulo di grassi all’interno degli epatociti.

Un tempo in realtà si pensava fosse poca cosa dal punto di vista clinico.

Oggi, invece, questa condizione viene considerata con molta attenzione come una zona di passaggio verso possibili fasi evolutive di vera e propria patologia cronica, anche irreversibile.

Ecco, allora, che quando il paziente riferisse, e spesso en passant che presenta pure “un po’ di steatosi”, come fosse un leggero sovrappeso del fegato, ebbene quel paziente merita la massima attenzione.

Perché potrebbe trovarsi in una fascia di danno epatico del tutto ‘innocente’ perché ancora reversibile, oppure in uno stadio intermedio di steatosi, più o meno avanzato, complicato sempre da un quadro di infiammazione con o senza evoluzione verso la fibrosi e la cirrosi epatica.

La vecchia e generica definizione condizione di “steatosi” epatica, quindi, oggi va riservata unicamente al quadro anatomopatologico del fegato, che può riconoscere varie cause ed essere inserita in varie condizioni cliniche che oggi si preferisce definire con il termine di “epatopatia steatosica”, a sottolineare il fatto che si tratta di un danno del fegato, spesso silente, spesso cronico, spesso evolutivo.

Ed è proprio questa la condizione clinica che più favorevolmente può risentire di un intervento “erboristico”, cioè ancora salutistico delle piante, prima ancora che medicinale. Assolutamente non irrilevante.

Cerchiamo allora di inquadrare meglio questo aspetto di fisiopatologia del fegato, in modo da poter capire ancora di più quando e soprattutto come, anche solo “semplici consigli” che accompagnino una tisana o un preparato a base di erbe officinali, possano in realtà diventare preziosi suggerimenti di carattere preventivo.

Diciamo “del fegato” ma solo per capirsi, in quanto la steatosi è circoscritta al fegato, ma generalmente, come vedremo, è solo il punto focale di un problema di ordine generale, che riguarda spesso lo stile di vita, l’alimentazione, la presenza di disfunzioni a carico di altri organi e sistemi o di altri fattori di rischio ecc.

Il primo fattore da considerare, sempre e comunque, è l’alcool. È dunque di grande importanza distinguere le forme di steatosi correlate all’assunzione di alcool oppure no, anche per le diverse implicazioni prognostiche e terapeutiche:

• Steatosi alcolica

• Steatosi non alcolica.

La steatosi alcolica costituisce la prima fase dell’epatopatia alcolica, che può evolvere verso il quadro di steato-epatite alcolica, acuta e cronica, cirrosi e cancro- cirrosi.

Ma la cosa importante da tener presente è che la suscettibilità del fegato alla tossicità dell’etanolo è individuale e legata a molti fattori, primo fra tutti la quantità di alcool giornaliero, ma anche la durata di assunzione, la presenza di altre sostanze epatotossiche ecc.

Oggi 25 g/giorno di etanolo sono considerati il valore soglia per il rischio di sviluppare una cirrosi epatica, che corrispondono a 2 bicchieri di vino al giorno.

In presenza di steatosi epatica da alcool quindi la prima parola d’ordine è eliminare totalmente l’alcool, anche se sappiamo che solo una parte dei soggetti evolve.

Ricordiamo, inoltre, che in questa condizione spesso il paziente non si considera tale, non avendo sintomi specifici riferibili al fegato.

E questo purtroppo è un fattore negativo, che lo porta sempre a minimizzare la situazione e tutti i consigli che gli vengono dati. Si ha generalmente un iniziale aumento delle transaminasi (il che significa generalmente che c’è già un danno, seppur minimo, a carico delle cellule nobili del fegato, cioè degli epatociti), ma nessun sintomo.

Sorvolando su tutti gli accertamenti medici necessari in questi casi per comprendere il grado di evoluzione, c’è comunque da ricordare un altro aspetto importante, che tutti, anche i non medici, devono sapere al fine di dare suggerimenti e consigli appropriati: l’attenzione alla nutrizione che per questi pazienti diventa fondamentale.

La steatosi non alcolica, o meglio come oggi preferiamo definirla, l’epatopatia steatosica non alcolica (NAFLD) non è correlata ad assunzione di alcool, ed è invece considerata una iniziale manifestazione epatica della sindrome metabolica, che ha nella insulino resistenza il suo principale fattore determinante.

È la forma più diffusa, e anche la più insidiosa: si va dal 15 % della popolazione senza fattori di rischio, fino al 50-60% di pazienti con fattori di rischio metabolici, in particolare il diabete.

Correlata inoltre con il sovrappeso/ obesità, anche infantile. E ancora la NAFLD si distingue in forme con o senza componente infiammatoria, con o senza fibrosi, che poi evolvono verso la cirrosi epatica.

Identificare le forme con componente infiammatoria e/o fibrotica a rischio evolutivo è compito del medico, così come decidere la migliore strategia terapeutica. Tuttavia già intervenire in presenza di una sindrome metabolica iniziale, significa prevenire un possibile e grave paziente di domani.

Come e quando intervenire?

In presenza di steatosi, ancora in assenza di epatite (alcolica o non alcolica), fin da subito sono fondamentali le seguenti modifiche di stile di vita.

Un altro fattore di rischio importante sul quale intervenire anche solo a scopo preventivo nel caso di infiammazione attiva è l’eventuale abitudine al fumo, mentre al contrario sembra che l’assunzione abituale di caffè possa esercitare un ruolo protettivo.

Tra i fattori di rischio che possono aggravare le varie tipologie di steatosi va inserita l’eventuale presenza di farmaci epatotossici (o erbe anche solo potenzialmente tali).

Le fibre vegetali in qualsiasi forma servono a ridurre l’assorbimento di lipidi, ma soprattutto la glicemia post prandiale.

Molto utile a tal proposito il ricorso a decotti a base di piante ricche in mucillagini (a partire dalle radici della semplice Malva), ma anche di piante contenenti polifenoli e antociani, ad attività antiossidante, presenti in molta frutta e verdura.

Il vantaggio di utilizzare certe erbe, anche della tradizione erboristica in forma di tisana, in realtà fornisce sempre e comunque motivazioni, non banali, come:

• partecipazione diretta del paziente nella preparazione del rimedio

• assenza di solventi chimici

• estrazioni dei polisaccaridi delle piante che modulano il microbiota intestinale

• ampia diluizione dei vari principi attivi presenti nel fitocomplesso

• favorevole ripristino dell’omeostasi epatica senza stimoli farmacologici diretti

• ruolo dell’acqua complessata che opera un lavaggio fisiologico del tubo digerente.

E, se opportunamente miscelate tra loro, anche in base alle necessità del singolo, erbe medicinali un tempo catalogate genericamente tra gli epatoprotettori, come:

• Carciofo

• Rosmarino

• Agrimonia

• Fumaria

oggi sempre più spesso bollate come obsolete, e prive di evidenze, possono in realtà contribuire molto bene già in forma di tisana, a favorire lo smaltimento del grasso dal tessuto epatico, senza provocare danno alcuno.

L’associazione di una “tisana digestiva” sapientemente e tradizionalmente composta può servire a ridurre i sintomi dispeptici spesso presenti (sonnolenza postprandiale, pesantezza e gonfiore addominale ecc.), già nel soggetto con epatopatia steatosica non complicata.

Tra tutte le piante dotate di significativa attività protettiva sul parenchima epatico, quando un soggetto affetto da steatosi deve ad esempio affrontare una terapia con farmaci di per sé epatotossici, come gli antinfiammatorio il paracetamolo, o certi antibiotici, oppure un’anestesia generale, o alcuni chemioterapici, emerge il Cardo mariano (Silybum marianum), con il suo complesso di flavolignani, genericamente denominato silimarina.

La silimarina presenta le seguenti proprietà farmacologiche: stabilizzazione delle membrane cellulari e lisosomiali degli epatociti con aumento della loro resistenza, effetto antiossidante e radical scavenger, inibizione della per ossidazione dei lipidi, effetti antinfiammatori e antifibrotici per inibizione della sintesi dei leucotrieni, stimolazione della glicuro coniugazione e della biosintesi proteica, accelerazione della rigenerazione epatica.

Particolarmente interessante si è dimostrato l’antagonismo, per blocco recettoriale competitivo, nei confronti dell’amanitina e della phalloidina, le tossine fatali dell’Amanita phalloides.

Nel complesso la silimarina migliora la funzionalità dell’epatocita, con un’attività epatoprotettrice, antinecrotica e lipotropa.

Tra gli integratori quelli di fibre può costituire un valido “strumento” da assumere dopo i pasti, non solo e non tanto per ridurre l’assorbimento di lipidi a livello intestinale, quanto per ridurre il picco di iperglicemia post-prandiale, responsabile di iperinsulinemia e poi di resistenza all’insulina.

In presenza di diabete, ipercolesterolemia e/o ipetrigliceridemia si deve sempre intervenire correggendo anche queste singole alterazioni patologiche, benché inserite nel quadro più complesso della sindrome metabolica.

Altrimenti il quadro di steatoepatite è destinato a evolvere nonostante i migliori epatoprotettori.

Anche in alcuni di questi casi, comunque, la fitoterapia può dare un contributo terapeutico non trascurabile: basti pensare al ruolo complementare di piante quali la Liquirizia, la Curcuma, la Schizandra, il Phyllantus nella riduzione della componente infiammatoria a evoluzione fibrotica e cirrotica.

Sempre di competenza medica è il trattamento di malattie specifiche a carico del fegato. Anche in alcuni di questi casi, comunque, la fitoterapia può dare un contributo terapeutico non trascurabile: basti pensare al ruolo complementare di piante quali la Liquirizia, la Curcuma, la Schizandra, il Phyllantus nella riduzione della componente infiammatoria a evoluzione fibrotica e cirrotica. Numerose sono le sostanze potenzialmente utili sulle quali la ricerca è appena iniziata.

REALE PREVENZIONE “NATURALE”

Restrizione totale dell’alcool

Restrizione totale di dolci e zuccheri semplici

Restrizione totale di cibi e bevande addizionate di fruttosio

Riduzione del sovrappeso corporeo

Alimentazione povera di grassi saturi di origine animale

Alimentazione ricca di proteine prevalentemente di origine vegetale

Alimentazione ricca di acidi grassi polinsaturi di origine vegetale/animale

Attività fisica 3-5 volte alla settimana (da adeguare alle esigenze del singolo)

Integrazione dietetica di vitamina E e prebiotici

Integrazione con piante ad attività epatoprotettiva

Erbe specifiche per il quadro generale dell’individuo o per contribuire alla riduzione mirata di altri eventuali fattori di rischio (in particolare intolleranza glicidica, e dislipidemie)

Fattori lipotropi: lecitina di soia, fitosteroli, vitamine del complesso B

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