L’Alimentazione Biomolecola è un metodo alimentare volto alla guarigione

L’Alimentazione Biomolecola non è una dieta dimagrante, ma un metodo alimentare volto alla guarigione che ha come piacevole effetto collaterale anche il dimagrimento

L’importanza della multidisciplinarietà:

Il nostro fondatore è laureato in Scienze agrarie, con competenze sulla nutrizione umana e animale acquisite studiando gli alimenti dalle loro origini, dalla coltivazione e preparazione. 

La biochimica non è solo quella umana, ma anche quella animale, quella vegetale, quella del terreno e dei suoi microrganismi, con tutte le loro interazioni.

La fusione delle competenze agricole e alimentari con quelle relative alla salute umana ha fornito un quadro molto completo sulle interazioni tra alimentazione e salute, che sono oggi lo specifico campo di lavoro in naturocare.

Le indicazioni dell’alimentazione biomolecolare non sono in alcun modo rivolte al controllo delle calorie, ma si basavano su un insieme di regole nate a poco a poco con la pratica quotidiana e l’esperienza di alimentaristi anche con gli animali, che vanno dal controllo dell’insulina, alla masticazione lunga, dalla riduzione dello stress alla colazione ricca, dal movimento fisico all’abbinamento proteine vegetali, carboidrati in ogni pasto, dal controllo dell’infiammazione alla riduzione dell’uso di farmaci. 

La mission di naturocare è raccogliere il frutto delle innumerevoli ricerche sulla medicina naturale e dare un significato alle scoperte o alle evidenze scientifiche di tali ricerche, per far si che con il quotidiano riusciamo mettere al centro della vita la salute ed il rispetto della persona e della natura.

La conoscenza e l’utilizzo operativo delle conoscenze sulle molecole di segnale spazzeranno via un secolo di inutile calcolo delle calorie e di opprimenti diete ipocaloriche che, non hanno mai portato ad alcun risultato se non in quanto casualmente abbinate a qualche altro importante fattore. Una visione sistemica, circolare, non lineare è l’unica in grado di farci comprendere l’azione delle molecole di segnale: i più potenti regolatori del nostro organismo.

identificare una visione della fisiologia umana e della malattia che si basa sulle più recenti cognizioni scientifiche disponibili e dei normali meccanismi di regolazione dei principali assi metabolici umani, così come si trovano descritti nei testi di biochimica, fisiologia, endocrinologia e medicina interna, quello che fa la differenza è l’interpretazione operativa di questi dati.

Chi pensa di capire la dieta leggendo un menu settimanale è fuori strada.

È conoscendo il legame tra infiammazione, insulina, resistina e visfatina che si ha chiaro il perché assumere farmaci, indulgere nel consumo di zuccheri o farine raffinate, o mangiare sempre le stesse cose ci fa ingrassare.

Mangiare in abbondanza, tuttavia, presuppone il fatto che gli alimenti di cui ci cibiamo siano di qualità, dove per qualità intendiamo “simili agli alimenti naturali di cui l’uomo si è cibato negli ultimi duecentomila anni”: frutta e verdura in abbondanza, proteine vegetali e limitatamente animali (pesce, semi oleosi) e cereali integrali, legumi, castagne e altri semi frutto di raccolta.

L’alimentazione umana non può prevedere zucchero, farine raffinate, grassi fritti o idrogenati, dolcificanti, conservanti, e deve moderare l’esagerato consumo di latticini e proteine animali, cereali raffinati (privati della fibra e del germe) e monospecie (frumento), tipico degli ultimi decenni di alimentazione industriale.

Anche su questo la documentazione scientifica è chiarissima: cibi zuccherati o ricchi di amidi e privi di fibra sono potenti ingrassanti a causa delle reazioni biologiche connesse con i picchi insulinici da essi prodotti.

Altrettanti danni sono provocati su altri fronti dai grassi idrogenati (aterosclerosi e danno cardiovascolare in genere), dagli edulcoranti (induzione all’iperalimentazione) e dalle diete troppo monotone (eccesso di glutine, di caseina, risposte allergiche) o prive di fibra (diverticolosi, stipsi, cancro al colon).

La libertà nella quantità dei cibi, e la conseguente fiducia nella perfetta regolazione ipotalamica dell’appetito, sono strettamente correlate con una forte attenzione verso la qualità.

I centri cerebrali della sazietà, non disturbati da endocrine disruptors (squilibranti endocrini) come zucchero, edulcoranti, grassi fritti o alterati, additivi e conservanti, fermano la fame al momento opportuno, prevenendo iperalimentazione e accumulo.

Al contrario zucchero e grassi alterati lavorano sui nostri centri cerebrali di reward (ricompensa) inducendoci a ricercare compulsivamente nuovo cibo, in una spirale incontrollabile. Solo il ripristino dei corretti segnali ipotalamici attraverso un’induzione naturale di adipochine, enterochine e miochine può mettere fine a questo circolo vizioso.

Un potente segnale regolatorio cerebrale è quello conseguente a una regolare attività fisica, quotidiana e di buona intensità.

Molti lavori scientifici confermano ormai il valore del movimento sia in chiave preventiva che curativa di molte patologie: diabete, ipertensione, sovrappeso, ipotiroidismo, depressione, Alzheimer, Parkinson, dislipidemie, malattie autoimmuni, patologie cardiovascolari come infarto e ictus.

L’errore più comune è pensare che fare sport significhi solo consumare calorie.

Fare movimento significa invece dire al proprio organismo che si sta bene.

E l’ipotalamo, stimolato dall’adiponectina prodotta dal tessuto adiposo e dall’irisina sviluppata dal tessuto muscolare, farà seguire a questi stimoli una serie di risposte attivanti la massa muscolare (che crescerà in quantità e nella sua capacità di consumo), la ghiandola surrenale (umore alto, risposta allo stress, steroidi anabolizzanti e sessuali) e le gonadi (le ovaie con la produzione di estrogeni e i testicoli con la produzione di testosterone) con un forte stimolo di attivazione metabolica, di dimagrimento e di salute nel senso (psicofisico e sociale) più ampio del termine, così come definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

La sedentarietà, infatti, non è neutra: spinge nella direzione opposta alla salute, verso un drammatico rallentamento metabolico. Senza movimento si potrà solo deperire seguendo una dieta di restrizione, o ingrassare qualora ci si alimenti in modo scorretto. Dimagrire in salute, mantenendo tono muscolare ed equilibrio, mai.

Anche le food sensitivities, causa dell’infiammazione da cibo, un tempo definite intolleranze o ipersensibilità alimentari, sono segnali forti, in grado di indurre patologia.

Oggi si può dire con grande certezza scientifica che l’infiammazione dei tessuti e dell’organismo induce segnali interni che favoriscono un rallentamento metabolico, ovvero un potenziale ingrassamento.

Si può indurre il dimagrimento e ridurre i sintomi di diverse patologie su base allergica o autoimmune. 

L’infiammazione da cibo dice all’ipotalamo, attraverso le medesime citochine di tutti gli altri tipi di infiammazione (e in particolare attraverso l’adipochina chiamata resistina), che il ritmo vitale dev’essere rallentato, accumulando più grasso e rallentando l’attività tiroidea.

La resistenza insulinica indotta genera poi secrezione, da parte degli adipociti, di visfatina, un potente proinfiammatorio, generando un altro nefasto circolo vizioso.

I recenti sviluppi scientifici nello studio degli effetti del microbiota intestinale sull’infiammazione, attraverso l’aumento incontrollato della permeabilità intestinale (leaky gut syndrome), hanno evidenziato come la protezione dei nostri microbi intestinali (attraverso il rifiuto a usare antibiotici e con un’alimentazione veramente prebiotica) sia in grado di ridurre fortemente lo stato infiammatorio del nostro organismo.

Altre regole importanti fanno parte di uno stile di vita sano che produca messaggi ipotalamici coerenti: scegliere cibi prebiotici ricchi di fibra (legumi, cereali integrali, verdure, frutta, noci); masticare a lungo; prendersi il tempo necessario per mangiare tranquilli.

Va poi perseguito un buon equilibrio psicologico, che richiede non solo un lento mangiare, ma anche un buon dormire, e magari la capacità di evitare stati ansiosi o di eccessivo stress.

La via più semplice per generare segnali positivi sta tuttavia nei tre generatori di segnale più potenti: l’abbondanza di calorie sane e pulite, un’adeguata  quantità di proteine vegetali in ogni pasto, una costante abitudine al movimento fisico.

Ricordare bene l’azione dell’ormone tiroideo all’interno del mitocondrio può aiutarci a comprendere meglio il modo in cui la tiroide (che è regolata in cascata da ipotalamo e ipofisi) regola il nostro ingrassamento e il nostro dimagrimento. Intanto ci spiega, attraverso le sue relazioni con la leptina, perché una caloria non è sempre uguale a una caloria e perché per perdere grasso si deve mangiare in abbondanza.

La tiroide, in realtà, è un esecutore di ordini superiori.

Il suo diretto superiore è l’ipofisi, che riceve però, a sua volta, comandi operativi dall’ipotalamo, quel prezioso pezzo del nostro cervello più antico dalla cui comprensione dipende la possibilità di modulare il nostro ingrassamento e dimagrimento.

È dunque l’ipotalamo, attivando di più o di meno la secrezione di ormone tiroideo, a stabilire se il corpo produrrà maggiormente calore o ATP dal cibo assimilato, e quindi è dalle “decisioni” dell’ipotalamo che dipende il bilancio energetico del nostro organismo, e non, come molti ancora erroneamente pensano, dalle calorie assunte. Una caloria è sempre una caloria, da un punto di vista fisico, e l’energia sappiamo che non si crea e non si distrugge ma si trasforma.

Tuttavia, se una caloria si trasforma in calore oppure in ATP la differenza è enorme.

Se ciò che mangio si trasforma in calore, tale calore verrà emesso nell’ambiente, e nel mio corpo non ne resterà traccia.

Se ciò che mangio va invece tutto in ATP, ovvero in energia conservata e utilizzabile, tutta l’energia assunta col cibo verrà accumulata sotto forma di glicogeno (zuccheri), sintesi proteica (muscolo, collagene, unghie, capelli, cellule) o sintesi lipidica (grassi, colesterolo) e consumata in parte in relazione ai fabbisogni energetici dell’organismo. 

L’assunzione di sale e di zucchero (e in parte anche quella di grassi o di alcol, altri nutrienti energetici concentrati) scatena nel nostro cervello una reazione di piacere in tutto e per tutto paragonabile a quella di una droga o di un orgasmo, con compulsione naturale a ripetere il gesto fino a che vi sia disponibilità di quel cibo, in relativa indipendenza dai reali fabbisogni.

Una volta compresa questa dinamica ci riesce molto più chiaro capire perché i cibi con zucchero aggiunto (bibite gassate, gelati, cioccolato, caramelle, biscotti, brioche, marmellate, creme, dolciumi in genere) o zeppi di sale (salumi, formaggi, cracker, pizze, focacce, patatine, salatini) risultino molto più graditi al palato rispetto ai cibi il cui sapore viene dalla natura.

Per capire l’entità del discorso basta fare qualche calcolo. Un uomo adulto di taglia media contiene circa 5 litri di sangue. In quei cinque litri (glicemia a digiuno 90 mg / 100 ml, ematocrito 45) nuotano solo 2,5-3 g di zucchero. Se assume una sola tazzina di caffè, zuccherandolo con una bustina intera (da circa 6 g), nel giro di tre minuti quello zucchero si aggiungerà ai 2-3 g già presenti nel suo sangue, portando teoricamente la glicemia a 280 mg / 100 ml.

Nella realtà ciò non avviene perché, molto prima di giungere a quel punto, il pancreas avrà secreto un’elevata quantità di insulina, atta a mantenere controllata la glicemia. Ma quella “pompata” di insulina, sconosciuta in quella quantità al nostro pancreas preistorico, provocherà diversi danni: indirizzerà il surplus zuccherino verso la costruzione di grassi, blinderà le cellule adipose impedendo loro di mobilizzare il loro contenuto, genererà uno stato infiammatorio con la mediazione della visfatina ed esaurirà pian piano il pancreas fino a generare diabete.

Se alla tazzina di caffè sostituiamo un bicchierone di bibita gassata zuccherata, i 6 g della bustina di zucchero si trasformeranno in 20-25 g, con effetti devastanti sull’equilibrio glicemico, sull’appetito, sull’ingrassamento. Effetti simili si hanno con 100 g di brioche o biscotti (35 g di zucchero e altrettanti di farina bianca raffinata) o con un piatto di pasta bianca (90 g di amido che entrano nel sangue sotto forma di glucosio in una mezz’ora circa). Tutto questo non avviene se assumiamo, per esempio, un pari peso di frutta fresca o di olio d’oliva. 

Se assumo bevande, yogurt, zucchero, cereali raffinati, creme, budini, ma anche carni o formaggi, ho senza dubbio assunto calorie sufficienti, ma non sufficiente fibra, e lo stomaco rimarrà vuoto, mandando il suo preoccupante segnale grelinico che andrà ancora a stimolare la fame attraverso AgRP.

Ben diverso sarebbe il suo comportamento se anche con la metà delle stesse calorie dei cibi appena citati avessimo mangiato cereali integrali, legumi, semi oleosi, frutta e verdura.

In quel caso il segnale grelinico sarebbe stato prontamente soppresso dalla distensione delle pareti gastriche, e la secrezione oressigena dell’AgRP sarebbe stata inibita.

Quando si parla di ingrassamento, l’infiammazione deve essere considerata un attore di primo piano.

Se si analizza il significato della resistina, si scopre anche che questa molecola rappresenta una modalità semplice e immediata da parte dell’organismo per spostare le dinamiche metaboliche verso l’accumulo. Il complice nascosto è l’insulina. Di solito, però, la resistenza insulinica nasce da un eccesso di assunzione di zuccheri.

Con la resistina, invece, il corpo si prende la libertà di generare resistenza insulinica anche in forte carenza di zuccheri! Ovvero: se le condizioni infiammatorie (resistina alta = alta infiammazione) mi dicono che è prudente accumulare, io accumulo, anche quel poco che mi arriva in situazioni di carestia.

https://www.youtube.com/watch?v=lpQe_j3Xy6w
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